Museo Paleontologico - Danta di Cadore
Danta di Cadore, un paese geograficamente sorto al centro tra il Comelico e il Cadore, in un lembo di suggestiva natura, ha ora anche un Museo Paleontologico che, seppur piccolo, diventerà in breve tempo un'attrattiva culturale e didattica di notevole valenza anche per il territorio circostante.
Piccolo, ma significativo Museo che presenta una serie di reperti di notevole interesse scientifico e didattico, rivolto prevalentemente alle giovani generazioni come fondamentale supporto alla loro formazione. Fornisce le basi per potersi avvicinare e comprendere il complesso laboratorio che ha modellato e adattato la vita sul nostro pianeta nel corso delle ere geologiche. Allo stesso tempo, rappresenta un valido supporto per gli studiosi e per quanti intendono avvicinarsi alle conoscenze naturalistiche.
L'idea del museo è del veneziano Bruno Berti, che da molti anni ha indirizzato le sue ricerche naturalistiche nel territorio di Danta evidenziando, tra l'altro, l'importanza delle sue incontaminate torbiere e la presenza di ben 26 specie di orchidee spontanee, raggruppate in 16 generi, che testimoniano l'unicità e l'interesse dei questo ambiente, da far conoscere e rispettare.
Per dare corpo a questa idea egli ha donato gran parte della sua personale collezione paleontologica, ma sarà soltanto grazie all'ulteriore e fondamentale apporto di eccezionali ed unici reperti, donati dal Centro Studi Ricerche Ligabue di Venezia, che si darà corso alla realizzazione del Museo "Le radici della Vita" di Danta di Cadore.
L'allestimento è stato portato a termine grazie alla collaborazione di Giancarlo Scarpa appassionato naturalista del Gruppo Scienze Naturali "C. Darwin" di Mestre.
Il museo vanta un reperto sicuramente eccezionale un cucciolo di dinosauro appartenente al genere Psittacosaurus colto dalla morte in posizione accovacciata e sorprendentemente completo in ogni sua parte anatomica.
Le eccezionali condizioni di conservazione hanno permesso di ipotizzare le cause che lo portarono alla morte e di ricostruire i probabili ultimi momenti della sua vita. Infatti, il reperto si presenta in posizione accovacciata, come di riposo. In un fossile eccezionalmente le ossa si presentano in connessione anatomica come in questo caso, il che significa che dopo la sua morte non sono intervenuti predatori o eventi geologici a scomporne il corpo. Il fossile presenta evidenti tracce di una predazione subita, infatti, alcune costole sono sconnesse ed è lecito supporre che proprio in quel punto abbia subito una grave ferita. Una volta sfuggito al suo aggressore, nascosto in qualche anfratto, per lui è giunta la morte. Successivamente il corpo è stato protetto da finissimi sedimenti fluviali che l hanno ricoperto e conservato perfettamente. Questo genere, che prende il nome dall'aspetto singolare del suo cranio e dalla forma del becco che ricorda quello di un pappagallo, è vissuto all'inizio del periodo Cretacico, circa 110 milioni di anni fa, nell'Asia orientale ed è il più antico Ceratope conosciuto.
Era un erbivoro bipede, lungo due metri, che possedeva delle lunghe zampe posteriori e zampe anteriori corte e forti adatte ad afferrare le fronde dei vegetali coriacei con cui si nutriva e poteva rizzarsi sugli arti posteriori per sfuggire, correndo ai molti predatori. Gli occhi e le narici erano posizionate nella parte superiore del cranio e la lunga coda controbilanciava la parte anteriore del corpo quando si rizzava sulla parte anteriore per correre. I n alcuni fossili di Psittacosauro si sono rinvenuti nella cavità gastrica, dei piccoli sassi lisci, detti gastroliti, che aiutavano lo stomaco nella macerazione dei vegetali, ne più ne meno di come usano fare alcune specie di uccelli attuali.